
Il carpione (Salmo carpio), pesce della famiglia dei salmonidi, è considerato per la sua rarità e per la qualità delle sue carni come uno tra i migliori pesci del lago di Garda se non addirittura il migliore.
Il carpione del Garda è, tra la fauna ittica del nostro lago, una specie cosiddetta endemica; questo termine sta a significare che questa specie è presente e popola solamente le acque del nostro lago.
Ecco perché l’eccezionalità di questa presenza unita allo scarso numero di questi pesci dovrebbe spingere le autorità ad una maggior tutela di questa specie segnalata da sito IUCN (Red List) come specie a forte rischio di estinzione.
In passato, sono stati fatti tentativi di ripopolamento con il carpione del Garda anche in altri laghi italiani, senza però ottenere risultati di successo.
Evidentemente l’habitat che il carpione ha trovato nel bacino benacense è unico ed irripetibile per la sua sopravvivenza e per la sua riproduzione.
Già celebre durante il periodo di dominazione dei romani esso bandiva con la preziosità delle sue carni le tavole di nobili ed aristocratici, certamente non quelle dei pescatori che nottetempo si prodigavano, con enormi sacrifici, alla sua pesca ricavandone buoni profitti.
La stessa Repubblica di Venezia, riconoscendo la particolarità di questo pesce e la sua rarità, volle proteggerlo nel 1464 con un particolare Decreto Ducale elevandolo a piatto d’onore nei pubblici banchetti.
Sul metodo di pesca del carpione potremo spendere numero pagine, aprendo altre interessantissime discussioni, ma così facendo correremo il rischio di perdere il filo del discorso che è appunto quello di narrarne le leggende che ne spiegano l’origine. Si sappia, giusto per completare il cerchio di questa superficiale trattazione, che se in origine la pesca del carpione veniva per lo più praticata con reti specifiche di profondità, soprattutto nei periodi di fregola, queste tecniche furono per lo più soppiantate, in tempi più recenti, dall’utilizzo della tirlindana che in altrettanto modo riusciva a garantirne ottime catture.
La tirlindana altro non è che un lungo filo piombato avvolto su un rocchetto di legno a cui vengono, a distanze intercalate e precise, agganciate le esche, solitamente giovani alborelle, che calate in acqua raggiungono le congrue profondità dove appunto è facile catturare il carpione.
E’ una pesca che richiede abilità di braccio e, quando ancora le barche erano mosse a remi, buon fiato del rematore che instancabilmente e lentamente percorreva in lungo e in largo i tratti di lago popolati dal prezioso salmonide.
Esemplari di tirlindane e di matros, per chi volesse vederne, sono esposte in un’apposita sala del Museo della Pesca e delle tradizioni lacustri allestito dall’Associazione “Amici del Gondolin” in Peschiera del Garda.
Come detto però, scopo principale di questo scritto è quello di raccontare le leggende che dal passato ad oggi si sono tramandate e che ci raccontano a cosa si deve la nascita di questo prelibato pesce.
L’origine del Carpione
La leggenda vuole che Saturno, già anziano, venisse cacciato dall’Olimpo dal figlio Giove che ne prese il posto. In cerca di una nuova dimora, sotto mentite spoglie, l’anziano dio girovagava errabondo nelle penisola italica.
Un giorno d’estate, molto caldo ed afoso, mentre il sole ormai era prossimo a coricarsi dietro le montagne della costa bresciana, Saturno giunse sulle sponde del calmo ed azzurro Benaco.
Stanco ed assetato, si mise a riposare in riva al lago lasciandosi cullare dal rumore continuo e regolare delle onde che si infrangevano sulla bianca rena, finché un leggero stato di sonno non lo pervase nel fisico facendolo assopire.
Da lì a poco però, il suo meritato riposo venne interrotto dall’allegro vociare di un gruppo di pescatori, che seduti a bivaccare su di un fresco prato erboso, tranquillamente pasteggiavano innaffiando i loro cibi con il soave e frizzante vino della riviera.
Attratto da quel vocio e assetato dal lungo viaggio Saturno, molto mestamente, si avvicinò al gruppetto di commensali e salutandoli con voce squillante e gioiosa chiese loro se era possibile avere un bicchiere di quel vino che essi allegramente bevevano. Un piccolo sorso giusto per trarne ristoro e placare l’arsura della sua gola.
I pescatori, che sappiamo bene a volte essere gente burbera, accolsero la richiesta di questo trasandato eremita con scherno e risa beffarde. Più di tutti tra loro, sembrava divertito dalla balzana richiesta un certo Carpio, pescatore nerboruto e dal carattere assai spigoloso che di tutta risposta disse al vecchio canuto:
“Come puoi dire d’aver sete quando di fronte a te c’è così tanta abbondanza d’acqua. Forse un lago intero non ti basta per placare la tua sete? Vecchio se sei così assetato bevila, essa e così limpida e fresca e se il caldo ti perseguita gettati dentro e cullati nella sua placida onda!”
Benché deriso e umiliato dal trattamento di quei pescatori, Saturno volle passar sopra all’episodio graziandoli e ignorando l’insulto del giovane pescatore, si diresse in riva al lago, dove col cavo della mano, iniziò a bere e a rinfrescarsi con la pura acqua del Benaco riuscendo così a placare la sua sete.
Proprio mentre traeva beneficio da questa pratica egli scorse in lontananza, proprio di fronte a lui, una piccola isola che reputò adatta per il suo stato di eremita. Impossibilitato a raggiungerla a nuoto perché troppo distante, si rivolse nuovamente al gruppetto di pescatori chiedendo loro:
“Quanto chiedete per traghettarmi su quell’isola”
“Trenta denari d’oro!” rispose Carpio, anticipando tutti i suoi compagni che nuovamente ridevano della richiesta del vecchio.
“Ma sono tantissimi!” rispose Saturno contrariato dall’avida richiesta.
“Questi sono se vuoi raggiungerla”
Contrariato e convinto d’esser fatto oggetto di una truffa Saturno, malgrado tutto, accettò la richiesta senza trattare, versando in anticipo l’obolo per quel corto tragitto ed invocando la protezione di tutti gli dei dell’Olimpo.
Salirono quindi tutti sull’imbarcazione e con poche e vigorose remate il gruppetto guadagnò presto il largo. Il lago era lucente di mille colori e l’acqua, calma e liscia come l’olio, rifletteva ormai i mille colori del calar del sole. Rosso, arancione, giallo e azzurro erano dipinti nella volta celeste e guardandoli, il vecchio Saturno pensò per un attimo di non rimpiangere affatto l’Olimpo ormai perso.
La quiete del momento però venne rotta presto dall’avidità di quei pescatori che, posati i remi, iniziarono a minacciare l’anziano uomo che, seduto in poppa alla barca, si stava godendo quell’impareggiabile panorama.
Ancora una volta fu Carpio il più risoluto e minaccioso del gruppo, il quale afferrato un lungo coltello lo puntò in direzione di Saturno dicendo:
“Vecchio furbastro, perché hai così tanta premura di raggiungere quella piccola isola? Forse hai fretta di nascondere il resto dell’oro che hai trafugato al tuo padrone?”
“Di quale ora vai dicendo? Io non ho rubato niente a nessuno” rispose con un filo di voce Saturno impaurito e sorpreso dalla imprevista minaccia
“Non mentire con me!” rispose Carpio “Io sono più furbo di te e delle tue parole, dammi l’oro e dammelo tutto, altrimenti te lo toglieremo con la forza e poi ti getteremo nelle fredde acque del lago in pasto ai pesci che con tanta fame prima volevi mangiare!”
Le risa sinistre degli avidi pescatori squassarono ancora l’idillio di quel tramonto. Le ingiurie e le offese di quell’accolita di faccendieri, si stagliarono perfide contro il misero vecchio. Essi erano convinti ch’egli possedesse chissà quali ricchezze visto che, senza obiettare, aveva accondisceso al pagamento di una così forte somma per essere traghettato sull’isola.
Dalle risa si passò presto a muover le mani. Di nuovo Carpio mostrò di quanta violenza fosse capace puntando al collo dell’anziano dio, la lama affilata del suo pugnale. Saturno impaurito indietreggiò sul bordo estremo della barca dove Carpio, deciso fino in fondo di porre in atto il suo insano proposito, lo aveva spinto minacciando di annegarlo nelle placide acque del lago.
Fu a questo punto che Saturno, spazientito dall’avidità e dalla cattiveria di quella gente, decise di reagire con forza alle loro minacce:
“Gente avida e meschina, se è l’oro che volete con tanta bramosia andatevelo a cercare nelle profondità di questo lago. Che esso diventi il vostro pane quotidiano!”.
Gli occhi del vecchio si fecero immediatamente di ghiaccio, le sue mani prima così flaccide e tremolanti si fecero forti e nerborute, e da esse, come un saetta di fuoco uscì un raggio di luce che colpì con forza i pescatori rimasti attoniti dalla reazione di quell’anziano eremita. Le loro voci, che prima erano così vigorose si fecero lentamente fievoli fino a diventar mute, i loro visi di colpo impallidirono, i capelli caddero, gli arti s’accorciarono di colpo trasformandosi in pinne, i loro corpi si ridussero e nel mezzo di questa metamorfosi, la loro pelle divenne di scaglie finché alla fine dei corpi di quei pescatori non rimasero che guizzanti pesci che strozzati dalla mancanza d’ossigeno, con possenti colpi di coda cercarono di guadagnare le acque del lago per sopravvivere. Carpio, dei pescatori, fu il primo a conquistare le profondità e dietro di lui tutti gli altri che d’un tratto scomparvero nelle scure profondità degli abissi.
Saturno, placata la sua ira, rimase solo sulla barca. Stremato da quella sua nuova fatica, mise mano ai remi e con un certo sforzo guadagnò la riva dell’isola meta del suo mesto pellegrinare.
Da lì, ancora scosso da ciò che testè gli era accaduto, invocò le ninfe del lago pregandole di trasformare quella barca in pietra per impedire che continuasse a solcare le acque del loro prezioso regno. Fu così che di colpo quella barca, prima teatro dell’avidità e della cattiveria dell’uomo, si trasformò in pietra sospesa sopra la spiaggia cosparsa di bianche conchiglie.
Da allora quei pesci, generati dalla metamorfosi di Carpio e dei suoi compari, cominciarono a riprodursi nelle chiare acque del Benaco e dalle genti che in quelle acque li pescavano, furono chiamati appunto carpioni a ricordo del triste destino del barcaiolo Carpio.
La leggenda vuole che essi si cibino dell’oro che sta in profondità mischiato con la rena profonda del lago.