
Non stiamo parlando di un monte sconosciuto di qualche catena montuosa africana, ne di qualche esotico luogo sperso nel mondo, il monte “Gu” altro non è che il nome dialettale con il quale i gardesani della sponda bresciana indicano il monte Pizzoccolo (mt. 1582), uno dei monti che dominano e caratterizzano, con il Monte Baldo sulla sponda veronese, l’entroterra del lago di Garda.
Il nome “Pizzocolo” (nel dialetto locale “pishocòl”) probabilmente deriva da “pizzo” e “zoccolo” forse per la sua forma a zoccolo oppure da “pinzocol” che in Val di Ledro e Alto Garda sta ad indicare una “roccia sporgente”.
Dalle sponde molto ripide, malgrado la sua modesta altezza, questo monte fu sicuramente modellato dall’azione dei ghiacciai che durante il periodo delle glaciazioni diedero forma a quello che poi divenne il bacino gardesano, scavandone da quel lato, la parte meglio conosciuta con il nome di “Trep” (piede), caratterizzato da un fondale ripido e molto profondo che nella parte alta del lago raggiunge la massima profondità di 346 metri.
Il panorama dal Monte Pizzocolo è, come per tutti i monti che circondano il lago, emozionante. Dalla sua cima si può scorgere agevolmente il gruppo dell’Adamello, il Monte Rosa, gli appennini; qualche escursionista, forse esagerando, sostiene che con particolari condizioni meteo ed aria molto tersa, si riesca ad osservare la laguna di Venezia.
Nei pressi della cima, benché questa zona non sia stata un diretto campo di battaglia, sono presenti alcuni ruderi militari risalenti alla Prima Guerra Mondiale (1915-18).
Probabilmente il nomignolo “Gu”, dato a questo monte, deriva da un francesismo che trae origine dall’aggettivo francese “aiugu” che significa aguzzo, come in effetti il monte Pizzocolo appare e come indicavano le truppe napoleoniche al tempo della loro presenza sul lago di Garda.
Molti di questi soldati, allora d’istanza durante l’occupazione francese, videro nella parte sommitale del monte, il profilo di Napoleone, e più in particolare il profilo del naso.
Questi soldati, giunti per la prima volta nei pressi delle rive gardesane, rimasero molto colpiti da questo monte che appariva loro davanti con questa forma molto appuntita tant’è che molti di loro appunto esclamarono “aigu, aigu!”; questa esclamazione, probabilmente udita dalle locali popolazioni, venne distorta nel nome di “Gu” che un po’ alla volta divenne il nomignolo definitivo con il quale molti di loro identificavano appunto il monte Pizzoccolo.
Proprio per le sue forme così imponenti, il monte Pizzocolo, in passato ispirò le odi dei poeti; Giosuè Carducci, nei suoi versi dedicati alla penisola di Sirmione così lo decanta:
Ecco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride,
fiore de le penisole.
Il sol la guarda e vezzeggia: somiglia d’intorno il Benaco
una gran tazza argentea,
cui placido olivo per gli orli nitidi corre
misto a l’eterno lauro.
Questa raggiante coppa Italia madre protende,
alte le braccia, a i superi;
ed essi da i cieli cadere vi lasciano Sirmio,
gemma de le penisole.
Baldo, paterno monte, protegge la bella da l’alto
co’l sopracciglio torbido:
il Gu sembra un titano per lei caduto in battaglia,
supino e minaccevole.
Ma incontro le porge dal seno lunato a sinistra
Salò le braccia candide,
lieta come fanciulla che in danza entrando abbandona
le chiome e il velo a l’aure,
e ride e gitta fiori con le man piene, e di fiori
le esulta il capo giovine.
Garda là in fondo solleva la ròcca sua fosca
sovra lo specchio liquido,
cantando una saga d’antiche cittadi sepolte
e di regine barbare.
Ma qui, Lalage, donde per tanta pia gioia d’azzurro
tu mandi il guardo e l’anima,
qui Valerio Catullo, legato giú a’ nitidi sassi
il fasèlo britinico,
sedeasi i lunghi giorni, e gli occhi di Lesbia ne l’onda
fosforescente e tremula,
e ‘l perfido riso di Lesbia e i multivoli ardori
vedea ne l’onda vitrea,
mentr’ella stancava pe’ neri angiporti le reni
a i nepoti di Romolo.
A lui da gli umidi fondi la ninfa del lago cantava
Vieni, o Quinto Valerio.
Qui ne le nostre grotte discende anche il sole, ma bianco
e mite come Cintia.
Qui de la vostra vita gli assidui tumulti un lontano
d’api sussurro paiono,
e nel silenzio freddo le insanie e le trepide cure
in lento oblio si sciolgono.
Qui ‘l fresco, qui ‘l sonno, qui musiche leni ed i cori
de le cerule vergini,
mentr’Espero allunga la rosea face su l’acque
e i flutti al lido gemono.
Ahi triste Amore! egli odia le Muse, e lascivo i poeti
frange o li spegne tragico.
Ma chi da gli occhi tuoi, che lunghe intentano guerre,
chi ne assecura, o Lalage?
Cogli a le pure Muse tre rami di lauro e di mirto,
e al Sole eterno li agita.
Non da Peschiera vedi natanti le schiere de’ cigni
giú per il Mincio argenteo?
da’ verdi paschi dove Bianore dorme non odi
la voce di Virgilio?
Volgiti, Lalage, e adora. Un grande severo s’affaccia
a la torre scaligera.
Suso in Italia bella sorridendo ei mormora, e guarda
l’acqua la terra e l’aere.
G. Carducci 10-12 novembre 1876